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Metologia dell’AFSU

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METODOLOGIA E FILOSOFIA  DELL’AFSU

di Franco Eugeni, Giovanni Grelli e Piotr de Penslin Lachert (Aprile 2018)

 DEDICA. L’articolo, per quanto scritto da me e da Giovanni Grelli, lo dedichiamo al nostro grande e fraterno amico Piotr de Penslin Lachert (1938-2018),  che assieme a noi – ed altri – ideò la creazione di questa Accademia, nell’aspirazione di inventare uno strumento tendente ad una reale forma di antropologia integrale.

Indice

Introduzione

Del  comportamento

Dei dibattiti

Dei principi di base

Dei concetti

Delle verità nel Pensiero Debole

Delle Società aperte

Della Centralità dell’essere umano

Della visione del mondo secondo Steiner (con la collaborazione del filosofo Giovanni Grelli)

Della cultura musicale (con la collaborazione del musicista Piotr de Penslin Lachert) 

Il punto di vista della Storia: il metodo del Paradigma Indiziario

Bibliografia

 

 INTRODUZIONE

Gli aderenti all’Accademia di Filosofia delle Scienze Umane proclamano di dedicare la loro esistenza allo studio, alla ricerca, alla divulgazione di tutto quello che ci sia di positivo nell’essere umano, ai fini di potenziarlo ed ampliarlo.”.

Uno dei settori di maggiore interesse è lo studio di problematiche di Scienza e Filosofia anche ai limiti dei confini del sapere ordinario. Così un punto di grande interesse che noi riteniamo assurta ad una forma di filosofia che quì vogliamo tratteggiare a grandi linee.  A questo scopo gli aderenti dell’Accademia si dichiarano seguaci del pensiero di alcuni importanti filosofi e scienziati, il cui pensiero, seguendo anche Galileo, nel loro complesso costituiscano una alcuni tendenza ad una cultura universale  Delineiamo  alcuni  principi che potrebbero essere significativi nelle nostre azioni individuali.

DEL COMPORTAMENTO

Dal punto di vista etico-comportamentale,  nella nostra Accademia sono poste al bando tutte quelle sostanze perniciose alla salute dell’essere umano come alcol e droghe, altre attività negative come il gioco d’azzardo e ogni manifestazione di violenza fisica e morale nei confronti di altri. La forma è sempre della persona pacata, di lento ed educato ragionamento, affettuoso con le amiche ed amici stretti, disponibile, non pettegolo, non maldicente alle spalle. Pronto, se su una questione ha maggior competenza, a riprendere l’altro in privato, in caso di negatività ovvero a lodarlo in pubblico, in caso di positività. Non sarà praticata alcuna forma di violenza ne fisica ne verbale. 

DEI DIBATTITI 

 Nei dibattiti l’accademico, prenderà la parola solo quando questa verrà data dal moderatore, non interromperà mai chi sta parlando, quando la parola verrà concessa eviterà ogni forma polemica, pur esprimendo chiaramente ed educatamente il suo eventuale dissenso. Sul dissenso non è permesso durante la riunione il ribattere, sarà fatto in sede privata. Gli interventi programmati e letti non supereranno mai le tre cartelle. Gli interventi non programmati, se si vuole spontanei, saranno al più della lunghezza di una cartella così da lasciare spazio anche agli altri, e colui che li fa è impegnato a produrre al Segretario testo del suo scritto, che diversamente non sarà riportato nel verbale della riunione. Nel caso si parli di politica o di religione sarebbe bene il parlare educatamente,  eliminando ogni forma di inutile faziosità. 

DEI PRINCIPI DI BASE

Nell’affrontare i principi di base di ogni nostro sapere noi saremo socratici, il che vuol dire che ogni concetto sarà sviscerato da una continua catena di perché e di percome, con l’utilizzo della oramai famosa tecnica della Maieutica. Tale tecnica può sembrare, da un punto di vista pratico, una tecnica infruttuosa e bloccante per ogni forma di  nostra azione, anche se alla fine, ne otterremo benefici impensabili a priori. 

DEI CONCETTI

La comprensione dei problemi è di tipo epistemico, nel senso che ogni concetto è esaminato nei suoi aspetti storico-fondazionali- sociologici. Per ogni affermazione ci si chiede: quale ne sia l’origine, chi ha fatto per primo l’affermazione e in quale contesto storico, sociologico, economico, esoterico, soggettivo. Ogni affermazione, concetto, evento ha un’origine e una motivazione, da guardare sempre con occhio altamente critico. In altre parole : ben venga ogni obiezione ma che sia  costruttiva e non faziosa. 

DELLE VERITA’ NEL PENSIERO DEBOLE  

Nella ricerca della verità saremo ben coscienti che l’unicità e l’assolutezza di un qualsiasi concetto, non è proprio dell’essere umano. Accettiamo l’idea del grande filosofo vivente Gianni Vattimo, asserente che il pensiero umano è classificabile in due enormi meta-categorie denominate pensiero forte e pensiero debole.

Più che definire tali categorie esemplificheremo alcune ideologie da dichiararsi indicative del pensiero forte, quali l’imposizione religiosa di verità rivelate come verità assolute, la credenza in principi politici derivanti da ideologie assolutistiche come ad esempio il marxismo e il dittatorialismo (sia pure illuminato), il governo ereditario o il settarismo in genere, ma se si vuole anche la stessa cultura freudiana, generalmente tutte quelle idee tendenti ad imprigionare la mente dell’essere umano.

Per comprendere, al contrario, il pensiero debole, ricordiamo l’antico allievo che disse al più antico Maestro: “venni presso di te o Socrate per trovare la verità e trovai tante verità”.  Per ribadire che nella filosofia del pensiero debole, non si ritiene realmente possibile ricercare una unica verità per ogni evento che occorra all’essere umano. Ricordiamo invero che:  “L’essere umano è un osservatore di eventi, eventi che egli rielabora e tende a comprendere ed interpretare utilizzando i suoi saperi, i suoi complessi, la sua storia individuale.  L’interpretazione che ne deriva, denominata pure sfaccettatura della verità, costituisce la sua  verità individuale, soggettiva, o anche relativa”.  Questa relatività interpretativa degli eventi è la base del pensiero debole. 

DELLE SOCIETA’ APERTE 

La visione che accettiamo di una buona società di esseri umani è quella che il filosofo Karl Popper chiama Società aperta, concetto originariamente suggerito, nel 1932, dal filosofo francese Henri Berson e poi sviluppato dallo stesso Popper. Popper definì il concetto di Società aperta come una comunità nella quale gli individui si confrontano con le loro idee e decisioni personali, in opposizione ad una “società tribale o collettivista, con principi immutabili, da chiamarsi chiusa”. Accettando la teoria della  falsificabilità, secondo la quale  ogni conoscenza è provvisoria e fallibile, ne segue  che la società deve essere aperta a punti di vista alternativi ed alle forme naturali di mutamento. Ogni cittadino, con il suo cammino individuale, migliorandosi si adopera per il miglioramento complessivo, che richiede una buona dose di cultura e principalmente libertà di pensiero ed espressione, nella speranza (spesso vana) che le istituzioni dovrebbero promuovere e quindi aiutare, questo tipo di questo sviluppo.

Nelle Società aperte, si presume quindi che il governo dovrebbe essere sensibile e tollerante, i meccanismi politici trasparenti e flessibili al cambiamento, in maniera di permettere a tutti i cittadini di parteciparne attivamente ai processi decisionali. Nella convinzione che l’umanità non disponga di verità assolute, ma solo di verità soggettive e di approssimazioni interpretative di eventi, la società allineata con la realtà del pensiero debole, dovrebbe dare ai suoi individui la massima libertà di pensiero ed espressione, ed educare all’idea che ogni forma di dittatura, ma anche di autoritarismo forzato e magari illogico, non è minimamente giustificato.

Una società di tale tipo, una società nuova in tal senso, non può che essere sempre aperta al mutamento,  dato che la conoscenza, sempre fallibile e provvisoria,  non è mai completa, ma risulta  sempre in divenire: “Se vogliamo rimanere uomini, avverte Popper,  c’è unicamente una strada, la strada verso la società aperta, per proseguire il nostro cammino individuale  verso l’ignoto, verso ciò che non sappiamo, verso l’incerto, ai fini di pianificare non solo la nostra sicurezza, ma al medesimo tempo la nostra libertà“.

Nella società chiusa, proclami di conoscenza certa e verità insondabile conducono all’imposizione di una certa visione della realtà. Una tale società è chiusa alla libertà di pensiero. 

DELLA CENTRALITA’ DELL’ESSERE UMANO

Nei confronti di noi stessi utilizzeremo il principio della centralizzazione del nostro essere individuale, il nostro pensiero è il nostro punto di partenza per il confronto. Siamo Liberi pensatori, abbiamo profondo rispetto delle idee altrui, ma non poniamo in secondo ordine il nostro pensiero, per il quale non possiamo che avere il più profondo rispetto, specie quando è il frutto di un lavoro di una vita. Questo atteggiamento sia ovviamente di consapevolezza e mai di arroganza.  Nei confronti degli altri esseri umani, noi desideriamo mostrare la più alta considerazione facendo nostra la frase, attribuita a Voltaire, asserente “io, essere umano, lotterò fino alla morte, perché tu possa esprimere compiutamente e liberamente la tua idea,  anche se è in totale opposizione con la mia.”

DELLA VISIONE DEL MONDO SECONDO STEINER (con la collaborazione del filosofo Giovanni Grelli)

Dal punto di vista dell’amore e il rispetto per la natura e del mondo, seguiremo i principi fondanti del filosofo Rudolph Steiner (1861-1925), accettando come modello per la divulgazione dei nostri saperi di gruppo, il modello delle Scuole Steineriane, il cui modello  varrà la pena di approfondire, nelle molteplici direzioni nelle quali si sviluppa. Ricordiamo che Steiner fu un filosofo austriaco, fondatore della disciplina denominata antroposofia (scienza dello spirito), disciplina che postula l’esistenza di un mondo spirituale, che può essere osservato e compreso mediante un tipo di osservazione, che Steiner chiama “animica”.  Tale nascosto mondo spirituale, al di la dei dubbi che possono nascere sulla sua reale consistrnza,  può essere studiato, ritenendo che il  mondo fisico, che siamo in grado di percepire, non è altro che una manifestazione del mondo spirituale che meno appare, e tali mondi sono entrambi in una forma mutua di continua evoluzione. Steiner si è sempre proposto di non rinnegare il metodo scientifico, che tuttavia riteneva infecondo e materialista. Ha proposto una versione “più completa” del mondo, inserendo una visione di ricerca più ampia, difficilmente comprensibile, che inserisca il mondo spirituale[1]. Le sue teorie, muovendosi dichiaratamente al di là della Scienza sono considerate pseudo-scientifiche. Steiner è noto per la cosiddetta Pedagogia Waldorf, per l’utilizzo di farmaci naturali della medicina alternativa e per la promozione di agricolture biodinamiche.

Steiner nella Pedagogia Waldorf (che nasce come supporto ai lavoratori delle fabbriche di sigarette Walfdorf Astoria) cerca di tradurre in pratica i principi di libertà della cultura, uguaglianza nella società politica e fratellanza nella vita economica. Queste tre sfere, secondo Steiner, devono essere autonome, ognuna retta da leggi ed amministrazione proprie, ma in armonica collaborazione fra loro. L’insegnamento di Steiner, improntato alla metodologia di Goethe, non doveva essere oggetto d’insegnamento diretto nella scuola Waldorf, ma doveva servire alla formazione permanente degli stessi educatori, ed agire di conseguenza sull’educazione degli allievi ed sul metodo didattico. La pedagogia, secondo l’intenzione steineriana, deve essere definita direttamente dalle necessità dell’evoluzione infantile (antropologia evolutiva), e non in base a obiettivi quali la qualificazione professionale e la produttività economica, che il sistema democratico tardo-industriale predilige. Così la concezione steineriana dei bisogni del bambino si fonda in particolare, sulla tripartizione dell’uomo in corpo, anima e spirito (volontà, sentimento e pensiero): questa concezione implica l’esigenza di educare gli allievi armonicamente nei tre ambiti.

La nostra Accademia è interessata per ricerche ai confini della Scienza, ritenendo che molti saperi oggi pseudo-scientifici, potrebbero essere  domani scientifici, come ampiamente provato da una miriadi di verità scientifiche, sempre provvisorie e falsificabili in attesa di futuri mutamenti.  

DELLA MUSICA COME LINGUAGGIO UNIVERSALE (con la piena collaborazione di Piotr Lachert)

Nella storia delle antiche Accademie, grande è stato l’apporto degli accademici musicisti. Tra tutti troneggia la figura del grande musicista austriaco Wolfang Amedeus Mozart (1756, 1791), e dei suoi contemporanei l’italiano Antonio Salieri (1750, 1825), l’altro austriaco Franz Joseph Haydn (1732,1809), che hanno mirabilmente trasferito la ogni possibile simbologia nelle loro opere. Basti allo scopo pensare al “Flauto Magico”, opera nella quale Mozart ha fatto scontrare le forze del bene e del male, facendo trionfare, infine, gli ideali dell’umanitarismo, della libertà, della tolleranza e della universalità. Ricordiamo anche altri musicisti che contribuirono notevolmente quali in non meno bravi dei tre sopracitati, precisamente ricordiamo: Handel, Bach, Geminiani, Beethoven, Viotti, Cherubini, Spontini, Mendelssohn, Liszt, Sibelius. Noi tutti riconosciamo ai cultori della musica una maggior sensibilità a comprendere i simboli, infatti sappiamo noi tutti che la Musica è un “linguaggio di valenza universale” che esalta la libertà di spirito e di pensiero e che nella comunicazione,  accomuna assieme differenti razze ed etnie ed unifica le lingue più differenti e accosta tra loro le diverse culture creando un’oasi di Società aperta, che non ha l’eguale in altri campi, ivi compresa le opere pittoriche per certi versi più selettive.

Allo scopo riteniamo indispensabile che l’Accademia istituisca un Istituto di Musica popolare e anche folcloristica , che formi una struttura con valenze sia didattiche che di ricerca, per permettere ai nostri amministrati e possibilmente non solo a loro, corsi di educazione all’ascolto musicale.  

Il fine è quello di raggiungere la migliore rappresentazione dell’Armonia universale, l’ armonia ha insito in sé il concetto di “Equilibrio e di Giustizia”, specie se l’armonia . intesa come unificazione ed equilibrio degli elementi opposti, naturalmente in antitesi con il caos sonoro del mondo materiale, anche perché l’elemento unificante di tutte le magnifiche vibrazioni che l’arte musicale produce, facilitano l’Eggregore, cioè l’aggregazione indispensabile per fare i primi passi nella costruzione di un pensiero che unisca tra loro  tutte le componenti culturali dei nostri fin troppo frammentati saperi.

La parte che segue è interamente dovuta al Maestro Piotr de Penslin Lachert, recentemente scomparso e già membro della nostra Accademia, che continua ad irradiarci con la sua conoscenza della Musica.  Le sue opere sia musicali che sociali sono tutte da riscoprire, se non da scoprire. Ne porremo un elenco ed una semplificazione nella voce LIBRI.

Nel mondo musicale – scrive Piotr Lachert –  è prevista la funzione del Maestro d’Armonia, leggiamo ogni tanto: “musica più forte” o semplicemente “musica”. Sono purtroppo del parere che i nostri padri formatori, pur nella loro saggezza, non sempre hanno ricevuto il dono e il privilegio di amare la musica  né di conoscere la sua millenaria storia,  né di capire bene il suo ruolo durante una cerimonia esoterica, per non dire che non sapevano se  “si deve mangiarla col cucchiaio o colla forchetta”. Come spiegare altrimenti l’assenza TOTALE  di presentazione d’una qualsiasi forma “esoterica”  nella storia della composizione musicale?  Perché nella musica europea conosciamo tante Messe, Oratoria, Passioni, Requiem, Fanfare, Minuetti, Gavotte, Gigue, Aires, Valzer, Mazurka, ma niente, proprio niente che ha a che fare con l’esoterismo? Un fatto mi sembra essere fuori una discussione: il ruolo dei suoni in rapporto con la semantica dei testi che ci accompagnano sia verso la vita che verso la morte.

Ma perché i nostri padri, che hanno stabilito tutti i movimenti, spostamenti e gesti nei conclamati riti del mondo sociale, sia pure variabili con la geografia sociale,  non hanno fanno niente di simile  con la musica?  Incuria, dimenticanza, mancanza di cultura artistica? Purtroppo sappiano benissimo che la musica, i suoni organizzati artisticamente, i suoni ricevuti dai compositori, al di fuori del mondo cartesiano, sono fortemente afrodisiaci sia al livello sensuale, sia a livello religioso sia anche a livello sociale. Basta osservare con un po’ d’attenzione come si comportano le persone profane in confronto alla fascia di suoni che escono dalle casse a 1000 Watt durante un concerto/festival pop. Come forte e, a mio parere esagerata, è la reazione dei giovani in confronto ad un brano di scarsissimo valore artistico, ma diffuso in modo giusto (fortissimo) in un posto giusto (la legge della folla) accompagnato dagli effetti di successo garantito: lucci, fumi, costumi, pubblicità pazzesca…

Come è forte la reazione della folla, ma anche di un singolo cittadino quando sente l’inno sella sua nazione. Come commovente può essere l’interpretazione di un brano classico, come eccitante può apparire un’improvvisazione dei jazzmen. Nella nostra liturgia/rito non sono neanche previsti i momenti  per poter semplicemente ASCOLTARE la musica. A questo punto viviamo purtroppo nel Sahara.

Per concludere occore ricordare che la musica non conosce la semantica, non deve utilizzare le lingue. Alcuni compositori, perché di loro si tratta,  erano e saranno affascinati dal mondo di simboli, che influenzano l’immaginazione, dell’architettura del luoghi, della ricchezza dei ruoli sociali , della realizzazione di una società aperta e disponibile verso l’altro chiunque esso sia. 

IL  PUNTO DI VISTA DELLA STORIA: IL METODO DEL PARADIGMA INDIZIARIO 

La ricerca storica negli ambiti nei quali, desideriamo occuparci e cioè della scienza e della filosofia di confine, ma anche per quelle situazioni nelle quali sono presenti indubbie difficoltà a causa di documentazioni non accessibili, perché relegate in archivi non consultabili, o ancor peggio per la mancanza, la sparizione, l’insabbiamento, la stessa distruzione di documenti significativi, vvero i cosiddetti  “roghi di documenti”. Si parla di sparizioni di documenti in archivi sia privati che pubblici per sequestri, spesso ordinati a causa di decisioni legate a particolari momenti storicio. Si parla di carenza delle documentazioni, avvenute in varie epoche sia per ragioni di riservatezza, in  periodi di clandestinità,  negli stati sottoposti a dittatura.

 “La storia delle Teorie delle discipline ai confini della Scienza e della Filosofia da parte in particolare, appaiono   quasi sempre come un vero e proprio rompicapo, un puzzle da risolvere, avendo a disposizione pochi documenti, che vanno collocati l’uno accanto all’altro attraverso congetture e valutazioni, di vario genere, quali quelle di tipo probabilistico e principalmente indiziario. Lo scrivere da parte di storici coraggiosi e interpreti, non solo archivisti di documenti,, ad esempio seguendo Marc Bloch [2], ma anche Franco Ginsburg e  Umberto Eco, . da luogo ad  “un classici esempi di fare storia senza o con pochi documenti, un’inchiesta condotta dallo storico, giudice soggettivo su prove limitate, esili indizi, ed infine autore di tante congetture, alternative o intelligenti ipotesi. Non si irrigidisca lo storico archivista, lo storico indiziario propone alternative possibili, non afferma, non conclude, ma è sempre meglio del silenzio”.

Così per indicare tutta una serie di rompicapi di nostro interesse ricordiamo che,  circa il pianeta Nubirù e la teoria di Sitchin sull’origine extraterrestre dell’Homo Sapiens, sull’esistenza dei Continenti scomparsi Mu e Atlantide, sulla costruzione delle Piramidi, sul tesoro dei Templari, sulla verità relativa alla scoperta dell’America, sulla tendenza denominata “transumanesimo” verso un possibile “futuro postumano” di uomini potenziati nella mente, nel fisico e nell’età,  dalle enormi potenzialità della tecnologia. Tutto questo tanto per indicarne alcuni dei misteri più eclatanti, che ci avvolgono e e ci affascinano, non ultimo dei quali, quello dell’importanza per l’evoluzione dell’Uomo, del mondo sommerso e sostanzialmente imprevedibile.  La mancanza e la confusione di documenti in differnti situazioni dello scibile, sembra essere particolarmente adatta all’utilizzo di nuove metodologie di ricerca storica, quali quelle del cosiddetto metodo del paradigma indiziario del quale ora ci occuperemo.

Iniziamo a precisare che con il termine paradigma [3]si indica, per solito, una conquista di tipo scientifico, universalmente accettata net settore cui si riferisca, la quale, per un periodo di tempo apprezzabile, fornisca un modello di natura qualsiasi atto ad inquadrare alcuni problemi ottenendone relative soluzioni, accettabili per quelli che si occupano di quel campo di ricerca. Tale modello epistemologico, ben utilizzato fin dalla fine dell’Ottocento, anche se non perfettamente teorizzato, permette in molti casi di uscire dalla contrapposizione tra razionalismo e irrazionalismo. II modello abduttivo, che siamo oramai soliti chiamare “paradigma indiziario” è sostanzialmente una metodologia scientifica, universalmente riconosciuta, le cui conclusioni sono state accettate da gruppi operanti in determinati settori di ricerca.

Per comprendere meglio l’idea abduttiva, importanti autori quali Umberto Eco [4] (1932-1916), Franco Ginsburg [5] e Massimo Baldini [6], hanno evidenziato una connessione tra Charles Sanders Peirce (1839-1914), la teoria abduttiva, le analogie con i metodi della patologia medica, le teorie popperiane e i cosiddetti metodi alla Sherlock Holmes [7]. Tali metodi, che Sir Arthur Conan Doyle (1859-1930), inventore letterario del Detective, media dalla Patologia Medica e dalla Criminologia, sono i metodi usati nelle sue lezioni, dal brillante e freddo Professore Joseph Bell (1837-1911), dell’Università di Edimburgo, che di Conan Doyle fu il Docente di Patologia.  Il suo metodo scientifico, applicato alla Patologia medica, era decisamente abduttivo, e fu  Joseph Bellebbe ad ispirare a Conan Doyle il fortunato personaggio di Holmes. La deduzione dipende dalla fiducia che abbiamo nella nostra abilità di analisi del significato dei segni che appaiono. L’induzione, invece, dipende dalla fiducia che 1’esperienza non verrà mutata. L’abduzione, ancora dipende dalla nostra speranza di prendere decisioni corrette in stati di parziale incertezza ovvero di raccogliere adeguate informazioni che permettono il geniale atto abduttivo o di serendipity.  Peirce descrive la formazione di un’ipotesi come “un atto di insight“, di interirizzazione per indicare quella “suggestione abduttiva” che viene a noi “come un lampo di luce“, lampo di luce,  atto ad indicare la casualità di una scoperta inattesa, che non sia stata programmata,  perché se ne stava cercando un’altra, atto questo da taluni battezzato serendipity [8]!  L’abduzione allora si presenta propedeutica sia all’induzione, intesa come prova sperimentale della ipotesi, che alla deduzione. L’ abduzione sarebbe allora come un istinto che utilizza percezioni inconsce e connessioni, tra aspetti diversi delle informazioni possedute [9]; sembra essere l’unico tipo di argomento che generi nuove idee. II giudizio percettivo sarebbe invece un caso limite di abduzione con “pochissime  informazioni”.

L’origine [10] del metodo del paradigma indiziario è rintracciabile nelle pieghe d’una  fiaba orientale, che apparve, forse per la prima volta, in Occidente, in una raccolta di favole di un tale Sercambi, nella quale si narra di tre fratelli, che interpretando/comprendendo una vasta serie di indizi,  riescono a fornire una descrizione di un animale, precisamente un cammello, che essi non hanno visto. Successivamente, verso la metà del ‘500, la medesima storia,“mutatis-mutandis”, riapparve a Venezia in una raccolta di novelle, dal titolo Peregrinaggio. L’opera era presentata come una traduzione dal persiano, traduzione curata da un tale Cristoforo Armeno [11] . Si narra della storia legata ai tre giovani figliuoli del re Serendippo [12]. Il libro ebbe molte ristampe e venne tradotto non solo in tedesco,  ma anche nelle principali lingue europee.  

Anche Voltaire (1694-1778) , pochi anni prima, nel terzo capitolo di Zadig [13], aveva presentato una riscrittura della novella “Peregrinaggio” dove il cammello originale della fiaba persiana si era sdoppiato nella cagna della Regina e nel cavallo del Re. II saggio Zadig, “specialista in abduzioni ante litteram” descriveva minutamente gli animali decifrandone le tracce sul terreno. La sua capacità abduttiva lo rese sospetto, venne condotto dinanzi ai giudici e accusato. Si discolpò raccontando ad alta voce il processo mentale che lo aveva portato ad “abdurre” il ritratto degli animali che mai aveva visto. Questa è la storia che riporta Voltaire. I giudici ammirarono la profondità del ragionamento, tutti parlarono bene di Zadig, anche il Re, ma i giudici trattennero 398 once per le spese e gli uscieri chiesero la mancia.

Fin dalla fine dell’Ottocento si ebbe conoscenza di questi processi. Si pensi che perfino il grande Thomas Huxley (1825-1895) in un famoso ciclo di Conferenze inneggianti alla dottrina di Charles Darwin (1809-1882) ebbe a parlare del cosiddetto “metodo  Zadig” per indicare il processo indiziario, quale metodo di indagine comune a vari campi quali l’archeologia, l’arte, l’astronomia, la criminologia, la fisica, la geologia, la matematica, la medicina, la paleontologia, la patologia, e infine la storia.  Per tornare nei meandri del cosiddetto “metodo del paradigma indiziario” ricordiamo che risalgono al periodo 1874 -75 una serie di articoli, sulla nota rivista tedesca Zeitschrift fur bidendeKunst,  proponenti un metodo per datare quadri antichi. L’articolo era firmato da un ignoto autore russo, tale Ivan Lermolieff, tradotto da un ancora tedesco Johannes Schwarze, essendo questi nomi, semplici pseudonimi dell’italiano Giovanni Morelli (1816-1891), illustre storico dell’arte che rivoluzionò il metodo di smascheramento dei quadri falsi [14]. Morelli  fu professore a Basilea  e successivamente Senatore del Regno d’Italia. Il metodo di Morelli rivoluzionò anche le attribuzioni di celebri quadri in svariati grandi Musei d’Europa. Morelli insisteva sul fatto che per riconoscere il vero autore di un quadro occorreva basarsi su dettagli secondari, tali da influenzare ben poco gli imitatori e gli allievi, quali ad esempio i lobi degli orecchi, le unghie, le aureole ed altro.  II metodo di Morelli è stato paragonato da molti autori all’uso di tecniche psicoanalitiche.

Lo stesso Sigmund Freud (1856-1939) conosceva ed apprezzava i lavori di Morelli, specie  per quella caratteristica penetrazione nelle cose esoteriche, ovvero segrete e nascoste, in base ad elementi sfuggenti e magari poco apprezzati a prima vista, quasi rifiuti o detriti delle nostre più ampie osservazioni.  Sono parole più o meno dello stesso Freud, contenute nella parte iniziale del secondo, paragrafo del suo saggio: “II Mosè di Michelangelo” (1914). Sembra chiaro che il punto di contatto tra Morelli e Freud sia questo desiderio di riconoscimento di una individualità artistica attraverso elementi scaturenti dalla coscienza in modo non controllato. II falsario, nell’esecuzione di forme secondarie, si lascerebbe condurre più dall’inconscio che non dalle sue capacità di imitazione. 

Ecco in queste storie, in queste favole, l’origine dell’abduzione e dell’emergenza, l’embrione della serendipity.  Non vi è dubbio che nella serendipity, si rintraccino in embrione i germi delle idee che si intrecciano nella patologia medica, i metodi di riconoscimento delle false  opere d’arte, alla Morelli, i paradigmi indiziari per le ricostruzioni storiche alla Ginsburg,  ovvero le brillanti indicazioni che da Peirce a Umberto Eco ci lasciano pensare per “abdurre”!  Il metodo è nello stesso tempo antichissimo e moderno. Dalla sua essere antico, quasi senza memoria si è detto. Ma anche lo storico può a volte, da indizi vari, notizie incrociate, brani di storia anche parallela risalire o convincersi di quanto è nelle pieghe della storia. Nell’ambito di una qualsiasi ricerca di tipo storico spesso va a prevalere quella tendenza richiedente le “prove documentarie” ad ogni più piccolo passo della ricerca. Dunque sembrerebbe ovvio, anzi legittimo, il richiedere che ogni affermazione vada suffragata da una “prova documentata”. Quando questo è possibile, si ottengono “ricostruzioni” della passata realtà, fuori dubbio molto attendibili, nessuno si sognerebbe di criticare un metodo siffatto. Altre volte le documentazioni sono “leggermente incomplete” ma tali che, da esse sia possibile dedurre una “realtà coerente” con la documentazione a di­sposizione. In tali casi si usano metodi deduttivi. II problema naturalmente si esaspera allora che le prove documentarie siano in quantità e/o qualità nettamente inferiori, ai fini della ricostruzione corretta.  Le deduzioni da un lato non costituiscono prove documentali ma d’altro canto non si può negare che, a partire da innegabili dati documentali, non si può non tenere conto, anche di una eventuale insieme di frammenti d’informazione ottenuti per varie vie, non necessariamente documentali. Per intenderci tali frammenti, vanno ripartiti in varie classi, quali ad esempio le seguenti:allusioni in testimonianze scritte, raccolta di testimonianze orali, di voci popolari, di tradizioni di vario genere, procedimenti per analogia quali ad esempio, ricavare da altre opere più o meno riguardanti episodi dei medesimi tempi, lo spirito, la morale, i costumi, in altre parole i dettami d’epoca più probabili,  se non addirittura certi.

Con questi dati poi, si può tentare di “effettuare cuciture di frammenti di informazione in modo coerente.” La separazione tra i dati certi e le relative conseguenze e l’esame delle alternative parallele possibili conduce a costruire il grafo delle realtà  possibili.  Del resto se la ricostruzione storica che si sta operando è relativamente povera di documenti può accadere che da essi non sia possibile dedurre alcun evento, ma solo intuire le realtà possibili. L’intuito tuttavia non sempre può essere messo a fondamento, almeno a fondamento scientifico di una ricostruzione storica. Lo spirito in esse operante può sintetizzarsi nel modo seguente: raccogliere i dati e i frammenti di informazione di ogni genere e quando ciò sia possibile assumere il seguente:

POSTULATO DI ELIMINAZIONE (detto di CONAN DOYLE): Se si è eliminato tutto quello che è impossibile, quello che rimane, per quanto assurdo, non può che essere la verità (intesa come sfaccettatura osservabile, ma non osservata, dell’evento in esame).

Date per scontate le analogie tra indagine storica ed indagine investigativa, vale la pena ricordare che può accadere talvolta, anzi accade, che in una prima fase si possano ricostruire più realtà o anche delle parti dedotte di realtà con delle alternative di vario genere. Allora il Ricercatore si sentirà spronato a ricercare altri indi­zi, che avvalorino una delle tante alternative in parallele. In ogni grande congettura di questo tipo, per usare un linguaggio proprio nella “Teoria dei Grafi” vi è quello che si chiama “un albero delle realtà possibili”. Si tratta, all’interno del Grafo, delle possibilità di trovare il “cammino della certezza” o almeno pochi e significativi cammini alternativi.

BIBLIOGRAFIA

[1] L’inserimento del mondo spirituale, nel nostro cammino individuale di conoscenza, è ben accettato da tutti i credenti, che capiscono che tale mondo è difficilmente spiegabile in termini di razionalità, ma sorge dai recessi della nostra mente.

[2] M. Bloch, Apologia della storia o mestiere dello storico, Torino 1975.

[3] T.S.Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino (1969), p.10.

[4] T.A.Sebeok, One, Two, Three … Uberty, in Il segno dei tre (a cura di U.Eco e T.Sebeok), Bompiani, 1983.

[5] Carlo Ginsburg, Spie.Radici di un paradigma indiziario, in Crisi della ragione (a cura di C.Gargani), Einaudi1979 (esiste una versione in inglese dell’articolo).

[6] M.Baldini, Karl Popper & Sherlock Holmes, Armando Ed, Roma, 1998.

[7] La figura mitica, di misteriosa grandezza, ovvero dell’indecifrabile essere virtuale di Sherlock Holmes, pur essendo una creazione letteraria di Sir Artur Conan Doyle. ha assunto un ruolo che,  da personaggio virtuale è diventato simbolo, quasi-reale per antonomasia, dell’uomo con forti caratteristiche abduttive.

[8] Termine introdotto da Horace Walpole (1717.1797), che indica appunto una scoperta casuale ed inaspettata specie in campo sciendifico e delle esplorazioni geografiche. Walpole utilizzò per la prima volta il termine in una lettera da lui indirizzata all’amico Horace Mann datata 28 gennaio1754.  

[9] Si veda come applicazione:  F.Eugeni, Lavori preparatori per il processo Cagliostro, Edimai 1995.

[10] Si veda ad esempio l’appendice sull’argomento in: Franco Eugeni – Edoardo Ruscio, Carlo Forti, ingegnere sul campo, Edilgrafital Teramo, 2005.

[11] Cristoforo Armeno (XVI secolo) scrittore e traduttore di opere medio-orientali, considerato l’interprete della cultura persiana in Italia.  Tradusse nel 1548  il racconto orientale “Viaggi e avventure dei tre principi di Serendippo”. Il testo  pubblicato dall’editore Michele Tramezzino a Venezia nel 1557  e tradotto in seguito in francese da de Mailly nel 1719.

[12] Il successo popolare, della storia dei tre figli di Seredippo, fu tanto e tale che sul nome del Re, venne coniato it neologismo “serendipity”,  ad indicare il paradigma delle “scoperte impreviste, fatte grazie al caso e alla intelligenza” –  che taluno definisce “ emergenze”.

[13]Cfr. François-Marie Arouet detto Voltaire, “Il cane e il cavallo” in  Zadig ed altri racconti filosofici, Feltrinelli, Milano, 1994.

[14] G. Morelli (alias Ivan Lermolieff alias Johannes Schwarze), Della pittura italiana. Le gallerie Borghese e Doria Pamphili in Roma, Studi storico critici. Milano, 1897.

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