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Il metodo Moore

torna a Matematici dal 1850 al 1900

Robert Lee Moore (1882-1974) – 92 anni

Il Metodo Moore da Wikipedia

Traduzione di Franco Eugeni

Il metodo Moore è un metodo di insegnamento deduttivo, utilizzato nei corsi di matematica avanzata. Prende il nome da Robert Lee Moore, un famoso topologo che per primo usò una versione più forte del metodo, all’Università della Pennsylvania quando iniziò a insegnare lì nel 1911. (Zitarelli, 2004)

Il modo in cui si svolge il corso varia da istruttore a istruttore, ma il contenuto del corso viene solitamente presentato in tutto o in parte dagli studenti stessi. Invece di usare un libro di testo, agli studenti viene fornito un elenco di definizioni e, sulla base di queste, i teoremi che devono dimostrare e presentare in classe, guidandoli attraverso il materiale didattico. Il metodo Moore in genere limita la quantità di materiale che una classe è in grado di trattare, ma i suoi sostenitori affermano che induce una profondità di comprensione che l’ascolto delle lezioni non può dare.

Floyd Burton Jones (1910- 1999) è stato un matematico americano, attivo principalmente in topologia. Fu uno studente di Moore e praticante del suo metodo, lo descrisse come segue: Moore  iniziava il suo corso di laurea in topologia selezionando attentamente i membri della classe. Se uno studente aveva  già studiato topologia altrove o aveva  letto troppo, lo escludeva (in alcuni casi, lo avrebbe ammesso in una classe separata per tali studenti). L’idea era di avere una classe il più possibile omogeneamente ignorante di topologia. Di solito avvertiva  il gruppo di non leggere testi di  topologia ma semplicemente di usare la propria abilità. Chiaramente voleva che la competizione fosse il più equa possibile, perché la concorrenza era una delle forze trainanti.

Dopo aver presentatongli assiomi e fornito esempi motivanti per illustrare il loro significato, avrebbe enunciato diverse definizioni e teoremi. Li leggeva semplicemente dal suo libro,  mentre gli studenti li copiavano. Quindi  passava ad istruire gli allievi  a trovare proprie dimostrazioni e a costruire esempi,  per mostrare che le ipotesi dei teoremi non potevano  essere indebolite, omesse o parzialmente omesse.Quando la classe tornava per l’incontro successivo, chiamava uno studente per dimostrare il Teorema 1. Dopo aver acquisito familiarità con le capacità dei membri della classe, li richiamava in ordine inverso  sui medesimi temi così da dare una seconda  possibilità agli studenti meno bravi.  Era flessibile con questa procedura, ma era chiaro che questo era la via che preferiva.

Quando uno studente affermava di poter dimostrare il Teorema X, lo  mandava  alla lavagna a  presentare la sua dimostrazione. Quindi gli altri studenti, specialmente quelli che non erano stati in grado di scoprire una dimostrazione, avrebbero potuto vedere se  la dimostrazione presentata era corretta e convincente. Moore impediva  severamente di interrompere e di fare commenti. Questa attenzione era raramente necessaria,  perché l’intera atmosfera era quella di un serio sforzo comunitario per comprendere l’argomento.Quando in una “dimostrazione ” appariva una falla” , tutti aspettavano pazientemente che lo studente alla lavagna  “sistemasse l’errore”. Se non ci riusciva, lo studente  si sedeva. Moore chiedeva quindi allo studente, secondo un ordine stabilito,  di provare o, se pensava che la difficoltà incontrata fosse sufficientemente interessante. Conservava quel teorema fino alla volta successiva e passava al teorema non dimostrato successivo (ripartendo dal fondo della classe).Agli studenti era vietato leggere qualsiasi libro o articolo sull’argomento. Gli era persino proibito parlarne fuori dalla classe. Alcuni  affermano che “questo metodo ricorda un vecchio e ben noto metodo di insegnamento del nuoto chiamato “affondare o nuotare”.

Commento di Franco Eugeni. Tale metodo è stato parzialmente seguito da me e dai miei allievi oggi professori nei corsi di dottorato tenutisi all’Università di Teramo dal 1996 a 2010.

 

 

 

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